Uno degli esiti paradossali della letteratura turistica, con la sua ossessione per tutto ciò che è "autentico", "tipico", è che spesso finisce con l’esaltare come esempi della specificità di un territorio prodotti, ma anche stili di vita, che unici non sono e, in verità, neanche rari.
Le ragioni di questa deriva sono chiaramente legate alla convinzione diffusa, ma non per questo meno arbitraria, che alcune cose funzionano commercialmente meglio di altre. Dopo un pò, inevitabilmente, il "racconto" di un luogo finisce con l’appiattirsi, standardizzarsi, e le uniche differenze significative tra una promozione e un’altra, che si tratti di un articolo di giornale o una guida turistica, stanno nella capacità degli autori di dosare più o meno sapientemente gli aggettivi e gli espedienti retorici utilizzati.
Succede così che un uomo, Antonio Monti, decide di riprendere l’antica tradizione di famiglia della lavorazione della paglia, di farne la propria professione, di ottenere riconoscimenti importanti su quotidiani a tiratura nazionale e su riviste specializzate e, di contro, non ottenere in ambito locale, o per lo meno non sempre, la visibilità e i riconoscimenti che meriterebbe. Beninteso, senza lamentarsene mai e andando dritto per la sua strada.
Tutto inizia più di un secolo fa, quando i contadini di Fontana scendevano di primo mattino a Lacco Ameno per vendere la paglia ricavata dalla produzione del grano detto “Carosella”, coltivato lungo i pendii del Monte Epomeo.
Le donne del piccolo comune del "Fungo", abili ricamatrici di pizzi e merletti, presero a intrecciare con la stessa tecnica decorativa questo sottoprodotto della lavorazione del grano, così da farne cestini, borse, cappelli e tantissime altre utensilerie. Tra queste, la bisnonna del Nostro Mastro Artigiano, la signora MariaGiovanna Catuogno che, nel 1865, inaugura sul corso di Lacco Ameno, quel laboratorio dove ancora oggi Monti lavora e produce, al ritmo di 120.000 pezzi l’anno, creazioni sempre nuove ed originali.
La storia non è però tutta qui, perchè all’appello manca un’altra grande donna, stavolta la nonna del Monti, la signora Restituta Patalano che, insieme ai figli Giuseppe ed Umberto, crea, nell’immediato dopoguerra, una sorta di telaio in ferro per il ricamo dei cestini in paglia.
Ad Antonio Monti il merito successivo, frutto di tantissimi anni di lavoro, di aver saputo diversificare sempre di più la produzione - dai cestini portatovaglioli, alle ceste di Natale, passando per cappelli, borse, fino agli ombrelloni da mare - arrivando ad esporre le sue creazioni nelle più importanti fiere dell’artigianato italiane, europee ed internazionali.
Naturalmente l’antica tradizione è stata rinnovata e rivisitata, soprattutto con riferimento all’utilizzo, ormai prevalente, di un altra materia prima, la raffia, in luogo della paglia. Si tratta di un prodotto ricavato dalla lavorazione della foglia di un palmizio indigeno del Madagascar, particolarmente adatto alle creazione, appunto, di cesti, cappelli, stuoie, ma anche cinture, tende, borse e tanti altri articoli, che siamo certi, i "Monti", con la loro maestria, continueranno a produrre e a vendere per tantissimi anni ancora.
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