L’antichissima presenza della viticoltura a Ischia, risalente, se non addirittura precedente, la colonizzazione greca, trascende il solo aspetto produttivo ed investe direttamente la tutela del paesaggio e l’identità sociale dell’isola.
Senza dubbio, la difficile orografia del territorio, con appezzamenti di terreno dall’’andamento collinare e scosceso, rendeva e rende i costi di produzione altissimi. Basti considerare che l’intero processo produttivo - dalla concimazione del terreno, alla manutenzione del vitigno, passando per la raccolta delle uve - in altre località completamente meccanizzato, a Ischia è ancora per gran parte manuale. Eppure, nonostante i costi, la viticoltura sull’isola continua con risultati eccellenti sia per qualità del prodotto, che per capacità di commercializzazione.
A partire dalle differenti condizioni geologiche e microclimatiche dei versanti costieri, sull’isola c’è traccia di due differenti tecniche colturali. Nel versante N - E, più piovoso e meno soleggiato, prevale il cosidetto "sistema etrusco", una forma di allevamento del vitigno molto alta, innestata su tutori di castagno. Nel versante S - O prevale invece il "sistema greco" con viti più basse allevate su sostegni a spalliera. Questa seconda tecnica di coltivazione garantisce una maggiore qualità del prodotto (rispetto alla sola resa, maggiore nel primo caso) tant’è, che i vini di maggior pregio, per gradazione, sapidità, resa olfattiva, vengono prodotti nella costa sud - occidentale di Ischia.
Comune alle due antichissime tecniche colturali è invece la modalità di raccolta delle uve, che avviene dal "basso in alto", assecondando i diversi tempi di maturazione del prodotto risalendo i terreni terrazzati dai 200 mt., fino ai 600 mt. sul livello del mare. Di qui, le definizioni di viticoltura di montagna, o con riferimento alle maestranze, di agricoltori alpinisti, che rendono le difficoltà, ma anche la dedizione necessaria per il mantenimento di questa antichissima tradizione. Addirittura, in alcune località, come la "Sgarrupata" a Barano d'Ischia, dopo esser risaliti per sentieri impervi, è necessario ridiscendere ed effettuare il trasporto dell’uva via mare con l’ausilio di piccoli gozzi.
Gli impianti sono tutti di vitigni autoctoni, per lo più a bacca bianca, "Biancolella" e "Forastera" su tutti, con l’eccezione di qualche buon rosso come "O’ Per’ e Palumm", a discapito della scelta, che pure sarebbe legittima da parte dei produttori, di optare per vitigni non indigeni, più vantaggiosi e meno difficili da coltivare.
Storicamente, è invece interessante far presente come alle varie fasi di produzione del vino seguisse un’articolata divisione sociale del lavoro, con un indotto altrettanto importante, per numero di occupati, rispetto alla quantità di agricoltori immediatamente coinvolti nel processo produttivo.
Tra i tanti esempi di figure economiche laterali alla produzione dei campi vera e propria, è bello ricordare "i ciucciari", incaricati del trasporto dell’uva durante la vendemmia. Oppure, "i mastri parracinari", artigiani specializzati nella costruzione dei muri a secco, le famose "parracine" realizzate con la pietra locale di tufo verde, a sostegno dei terrazzamenti lungo i pendii collinari.
Oggi queste figure professionali non esistono più, scalzate dall’evoluzione dei trasporti e dell’edilizia. Rimane, come accennato all’inizio, la produzione vinicola, che ha saputo ritagliarsi un suo spazio autonomo nel turismo enogastronomico, con alcuni vini stabilmente inseriti, già dagli anni ‘60, nei circuiti IGT e DOC.
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